Titoli di lavoro

L’ho imparato da Umberto Eco e dalle sue “postille” a Il Nome della Rosa. Ogni autore, mentre scrive il suo libro e certe volte anche quando fa ricerche prima di iniziare a scrivere, ha un titolo di lavoro. In alcuni casi può diventare il titolo del libro – ma è l’editore a deciderlo. È esattamente quello che accade per un film: a decidere il titolo è chi ci mette i soldi, chi rischia del suo – vale a dire il produttore, non il regista. Così in editoria: l’autore e il suo agente possono proporre – e spesso l’editore ascolta di più l’agente che non l’autore; ma alla fine è sempre e soltanto l’editore che decide.

Umberto ed io lo scoprimmo un lunedì di fine ottobre 2000. Michael Schumacher era diventato campione del mondo di F1 il giorno prima. Nel tardo pomeriggio di quel lunedì venimmo convocati dall’editore, che ci informò che il titolo del nostro libro – che fino a quel momento era 50 anni di Formula Uno – sarebbe stato La rossa e le altre. Non chiedemmo una sedia poiché eravamo entrambi già seduti. Ma ci scambiammo uno sguardo molto significativo. Uno di noi trovò la forza di chiedere: “Ma è già deciso?” Lo era e aveva ragione l’editore. Perché anche se a noi due autori il nuovo titolo sembrava quello di un instant book messo insieme in fretta e furia per sfruttare il momento e la vittoria di Schumacher anziché il titolo di un lavoro che aveva richiesto anni di preparazione, La rossa e le altre era un titolo di sicuro effetto. E lo dimostrarono le vendite. Quel pomeriggio imparammo così che ognuno deve fare il proprio mestiere: l’autore scrive, l’editore sceglie il titolo – e la copertina …

Intervistato nel corso del telegiornale di una delle principali reti televisive messicane.

Imparata la lezione, nessuno dei due si diede pensieri per i titoli dei due libri successivi. La rossa dei record e Una leggenda che continua, entrambi titoli degnissimi e di sicura presa sul pubblico, furono proposti dall’editore e approvati entusiasticamente da noi due. Il problema si presentò con il libro successivo, che io avrei voluto intitolare La rossa che visse due volte, e l’editore decise di intitolare Il tedesco volante e la leggenda Ferrari. Naturalmente l’editore sapeva cosa stava facendo poiché in un solo titolo – per quanto lungo – c’erano ben tre riferimenti: a Schumacher (il tedesco volante), ai nostri libri precedenti (leggenda) e naturalmente alla Ferrari. Ciò detto, a distanza di tanti anni continuo a pensare che La rossa che visse due volte sarebbe stato il titolo più indicato: il libro racconta infatti la Ferrari prima e dopo Schumacher, quindi le due vite della squadra di Maranello, e non mancava neppure il riferimento alle opere precedenti (La rossa).

Un discorso a parte merita il romanzo. Il manoscritto che sarebbe stato pubblicato un giorno con il titolo La Scuderia, ebbe da subito il titolo di lavoro Stolen Car. Avevo preso a prestito il titolo di un brano di Bruce Springsteen che mi piaceva particolarmente anche se non aveva alcuna relazione con la storia che stavo raccontando. Il motivo di questa scelta erano un paio di versi che mi pareva descrivessero lo stato d’animo del protagonista ad un certo punto della vicenda: But I ride by night and I travel in fear that in this darkness I may just disappear. Il titolo era breve, mi piaceva ed era rimasto (ancora oggi, nei miei archivi personali, il file del manoscritto come fu consegnato alla Casa editrice si intitola Stolen Car. Il problema venne per l’appunto quando arrivò il momento di consegnare il manoscritto. Era naturalmente improbabile consegnare un manoscritto con un titolo di lavoro in inglese e che per giunta nulla aveva a che vedere con la trama. Così, ricordo che con mio fratello passammo in rassegna tutta una serie di titoli prima di decidere che La Scuderia, suggerito da lui, fosse quello giusto. Oggi non vedo altro titolo per il mio primo romanzo, ma ricordo che all’epoca lo scelsi solo perché lo ritenni il meno peggio tra tutte le proposte che avevamo messo insieme. Una, che a me non dispiaceva, era Tazio ed io, anche nella versione Nuvolari ed io – ma naturalmente c’era il problema che la vicenda non era narrata in prima persona. All’editore il titolo La Scuderia piacque e La Scuderia fu.

Un titolo sul quale non ho invece mai nutrito alcun dubbio è Ferrari Rex, la monumentale e fortunata biografia di Enzo Ferrari. Come nel caso de La Scuderia, Ferrari Rex ha il dono di essere un titolo breve ed immediato. Riguardo a Enzo Ferrari possiede poi il dono di non prevedere l’utilizzo di parole abusate come Drake, Mago, Costruttore, Signore, Padrone (si, è stato usato anche quello) o aggettivi come Mio o addirittura Diabolico … Il titolo nasce così: anni fa, al rientro da un Gran Premio del Canada, all’aeroporto acquistai una copia di una biografia del presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt scritta da Edmund Morris. La divorai. Il titolo era Theodore Rex. All’epoca stavo solo iniziando a organizzare le idee, ma decisi di prendere il libro di Morris a modello perché Theodore Rex aveva il respiro, il passo, per così dire, che stavo cercando per la mia ricostruzione della vita di Enzo Ferrari, dove non si salta da un episodio noto all’altro, ma si vive e respira la vita di Ferrari nella sua interezza, vorrei dire giorno per giorno. E poi c’era quella parola – Rex – che il campione del mondo di F1 1961 Phil Hill, senza saperlo, mi confermò essere esatta in riferimento a Ferrari quando, una sera d’agosto a Pebble Beach, mi disse: “Ferrari era come un re e noi eravamo i suoi cavalieri.” Tra l’altro pensavo che un titolo in… latino potesse avere una valenza internazionale e che, nel caso di una pubblicazione in lingua diversa dall’italiano, Ferrari Rex avrebbe potuto restare il titolo anche di un’edizione in lingua diversa dalla nostra – magari con un sottotitolo in inglese o in spagnolo a secondo del caso. Invece… il titolo scekto dall’editore americano per l’edizione in lingua inglese è stato: Enzo Ferrari – Power, Politics and the Making of an Automotive Empire. E il titolo scelto dall’editore messicano per la versione in spagnolo è stato: Enzo Ferrari – La vida de un grande.

Così come nel caso di Ferrari Rex, anche per La Congiura degli innocenti non ho mai avuto dubbi su quello che avrebbe dovuto essere il titolo del libro. Dalla documentazione che avevo iniziato a scartabellare il primo giorno di ricerche negli archivi dell’Alfa Romeo ad Arese, una cosa era chiara: c’erano molte versioni della stessa storia, che protagonisti diversi non si erano preoccupati di cancellare e che, anzi, trovavano tutte riscontro nella documentazione che era stata conservata da quasi quarant’anni nei raccoglitori che avevo sul tavolo. Soprattutto mi apparve presto chiaro che i protagonsti della storia, lato Alfa Romeo, di fatto cospiravano contro la loro azienda per il suo stesso bene, convinti come erano che l’Alfa dovesse continuare a correre – meglio se in F1 – anche se il parere, nelle stanze dei bottoni (Montecitorio, piazza del Gesù, via delle Botteghe Oscure), era diverso. Di fatto, mi dissi mentre leggevo memo riservati della presidenza dell’Alfa Romeo, appunti di conversazioni tra dirigenti della Casa del Portello e dell’Autodelta, riassunti di telefonate con Bernie Ecclestone, minute di riunioni segrete, prime, seconde e addirittura certe volte terze versioni di una stessa lettera, questi personaggi congiuravano contro la loro azienda. Ma dal momento che, ai loro così come ai miei occhi, lo facevano per quello che percepivano come il bene dell’Alfa Romeo, ecco, erano… innocenti. Da qui il titolo, che naturalmente riprende un (bellissimo) film di Alfred Hitchcock, che nulla ha in realtà a che vedere con la trama del mio libro. La congiura degli innocenti divenne immediatamente il titolo di lavoro. Titolo che, nel momento in cui lo proposi prima al direttore editoriale di GNE Leonardo Acerbi, e poi all’Editore Giorgio Nada, piacque e venne promosso al rango di titolo definitivo.